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22 Giu

Nell’ultimo mese, più o meno direttamente, tutte le testate giornalistiche hanno dedicato un considerevole spazio al problema dei cosiddetti “esodati”, ex lavoratori tra i 50 e i 65 anni, ormai fuori dal mondo del lavoro, per cause strutturali e sulla base di regole contingenti, ma senza una imminente prospettiva pensionistica. La loro esistenza è ormai un “giallo”, inquietante però, se si pensa che dietro la diatriba sul numero di queste ‘nuove’ figure, drammaticamente sull’orlo del baratro sociale delineato dalla crisi economica, si nascondono persone, in carne e ossa, con le loro legittime aspettative e le loro altrettanto legittime preoccupazioni, legate ad un futuro incerto e assai preoccupante. Ma di cosa ci sorprendiamo? Che il Governo, a detta dei sindacati, falsi la realtà, sminuendo le proporzioni di un fenomeno che sarebbe di dimensioni quasi quattro volte superiori a quelle dichiarate da fonti ministeriali? Nulla di stano, se si pensa che l’attuale unica preoccupazione è far quadrare i conti di uno Stato che, in quanto a risorse, è ormai arrivato al fondo del barile e che, oltretutto, non incoraggia in termini di prospettive. Meglio mistificare i numeri, se questo serve a nascondere i veri problemi, se i 65.000 a cui sono stati prospettati ammortizzatori economici, sono in realtà solo un quarto di quelli realmente esistenti. Strategia questa che, se ribaltata, i precari della scuola conoscono bene, visto che da anni subiscono gli effetti devastanti di politiche e scelte basate su numeri falsi, gonfiati a dismisura per spaventare tutti,anche l’opinione pubblica. Vale la pena, per svelare le proporzioni di tale affermazione, soffermarsi a tratteggiarne i contorni, operazione necessaria a capire la gravità di una situazione, sconosciuta e taciuta, che però danneggia e scredita migliaia di lavoratori.

Oltre 300.000 sono, per il MIUR, i “precari della scuola”, un esercito ‘opprimente’, una promessa emorragia per le casse dello Stato. Già è assurdo rappresentare il corpo docenti così, visto che sono la risorsa di un Paese che, come vorrebbe anche il semplice buon senso, dovrebbe puntare a istruzione e formazione come armi potentissime di rilancio. Eppure la stampa e la televisione non hanno saputo ancora cogliere questa contraddizione. Né, suo malgrado, il lettore più attento e informato, avrà potuto apprezzare un’altra anomalia linguistica, quella di definire “precari” tutti gli aspiranti docenti che hanno solo avuto il privilegio anagrafico di potersi iscrivere nelle graduatorie ad esaurimento, quelle dalle quali si attinge una parte dei docenti a tempo determinato (solo una piccolissima parte, i primi della lista, entra di ruolo ogni anno).

Vale la pena enfatizzare un dato, però, se questo serve a spaventare e a dirottare l’attenzione dai veri problemi.

Sono 40.000, forse 60.000, i docenti precari da anni ed anni sfruttati dalle scuole pubbliche e private, assumibili a tempo determinato, ma che non hanno mai potuto ambire alla stabilizzazione, in barba alla normativa europea contro il precariato, visto che l’Italia li definisce, con artifici linguistici non abilitati. Bella scusa, ottima per sfruttarli senza obblighi normativi o morali. Eppure sono definiti idonei all’insegnamento anche nei contratti con i quali sono stati assunti, e non potrebbe essere altrimenti, visto che sono insegnanti a pieno titolo ed hanno esercitato la professione nelle scuole italiane di ogni ordine e grado con responsabilità piena, scolastica, civile e penale.

E questi precari per antonomasia, perché solo il precariato era ed è la loro prospettiva, non sono parte dei 300.000 citati prima, poiché collocati in altre graduatorie, la III fascia delle graduatorie di circolo e d’istituto, istituite dal Ministero dell’istruzione, a partire dalla definizione dei titoli d’accesso che questi docenti devono necessariamente possedere, e periodicamente aggiornate, ogni due o tre anni. Eppure il MIUR, quando gli fa comodo, se ne dimentica e, anche in sede parlamentare, ha tentato di distrarre l’attenzione sui dati reali e sulla dimensione strutturale dei precari di III fascia. E così, data la loro apparente evanescenza, “confusi” in un’idea di precariato dalla quale sono invece esclusi, il Paese intero ne sconosce l’esistenza stessa, docenti invisibili che operano con autorevolezza e responsabilità in ogni scuola italiana.

Sembra complicato, difficile da credere? Nulla in confronto a quanto sarà immediatamente raccontato.

Quando questi docenti, in vista delle nuove regole per la definizione del profilo di docente, hanno rivendicato la loro fisionomia professionale visto che, irrazionalmente e insensatamente, sono considerati alla stregua di un neolaureato, hanno dovuto assistere ad un balletto di numeri che definire grottesco è assai riduttivo: oltre 200.000, riferisce alla Valentina Aprea come dato ufficiale del MIUR; poco più di 120.000, secondo un altro documento del MIUR di poco successivo; 40.000/60.000, secondo elaborazioni statistiche prodotte dai diretti interessati sulla base di dati ufficiali rilevati su base provinciale, numero informalmente confermato dal MIUR. Ma si sa, verba volant, e nessun documento ufficiale del MIUR contiene questa stima.

La ragione? Sempre la stessa, spaventare tutti, parlamentari compresi, con un altro “esercito di precari” di cui nessuno sa nulla, neanche quanti siano veramente, visto che, nonostante il ricorso alla Magistratura, il MIUR non ha ancora scoperto le carte e spiegato come mai, nonostante disponga di un adeguato sistema informatico periodicamente aggiornato e al quale sono regolarmente iscritti questi docenti, abbia prodotto dati tanto discordanti. Altri precari da sistemare! Da sistemare nella maglie di in percorso formativo a numero chiuso (il TFA) che neanche dovrebbe riguardarli, loro, insegnanti precari, visti come un pericolo anche dagli stessi neo laureati che temono che la loro esperienza possa favorirli nelle prove d’accesso. Ma quale ragione c’è dietro la scelta di volerli sottoporre, dopo anni di insegnamento con piena titolarità, a test preselettivi e selettivi, ad esami in itinere e ad un esame finale, per poi poter (forse, visto che nessuno sa ancora quale sarà il criterio per reclutare i docenti dopo questa gincana) poter accedere ad un concorso pubblico, quello che finalmente permetterebbe loro di esercitare una professione che già esercitano?

Nessuno ha saputo ancora dare una risposta sensata, solo farfugliamenti privi di fondamento, rarissime ammissioni verbali!

Meglio disconoscerli, quindi, per tagliar corto, anche in sede normativa, senza che nessuno si sia accorto ed abbia gridato allo scandalo di come mai, a prescindere da quale sia il loro numero reale, tanti insegnanti siano stati impiegati senza riserve e siano fuori da ogni prospettiva di progressione nel lavoro e di stabilizzazione, perennemente sfruttati proprio a causa di quel mancato riconoscimento oggettivo di professionalità che in Italia va sotto il nome di “abilitazione”, titolo unicamente funzionale agli interessi del MIUR, e che vincola il Ministero ad assumere a tempo indeterminato i docenti che lo possiedono. Utile quindi, ridurre il numero di chi è, solo formalmente, definito tale, secondo un bizantinismo tutto italiano per il quale un docente può essere idoneo all’insegnamento ma non abilitato!

Eppure, nessun sindacato nazionale, nessun giornalista ha sollevato questo problema, nessuno si è accorto, tranne chi vive sulla pelle questa assurda e inenarrabile vicenda, dell’ennesima prova di squilibrio nello scenario deprimente che l’Italia offre ogni giorno.

Paragonando la questione dei precari di III fascia con la questione degli esodati, quindi, si può trarre l’amara conclusione che nel nostro Paese i dati servono non per dare corpo ai problemi ma per sminuirli, gonfiarli, mistificarli a seconda del risultato che si vuole ottenere, senza curarsi che dietro questi dati ci sono persone, lavoratori, famiglie.

E in questo scenario, un richiamo all’Europa può far comodo, per sottolineare, se mai ce ne fosse bisogno, le contorsioni grossolane dietro questa allucinante vicenda, proprio perché dall’Europa, docenti con le stesse caratteristiche, gli stessi titoli (non solo per analogia ma anche perché conseguiti proprio nel nostro Bel Paese), la stessa o minore anzianità di servizio, ottengono un riconoscimento dal MIUR, secondo regole europee alle quali l’Italia non si può sottrarre, ma solo se riguardano docenti non italiani. Bellamente e legittimamente questi ultimi, quindi, scavalcano i precari di III fascia italiani, per effetto di un’abilitazione riconosciuta per decreto.

Quanti sono questi docenti comunitari? Per ora non moltissimi, ma l’Europa, in virtù della volontà di integrazione e nella logica della mobilità tanto caldeggiata anche dai nostri Amministratori, potrebbe favorirne l’incremento. Una possibilità a senso unico, però, visto che le restrizioni del Miur impediscono ai docenti italiani, che hanno svolto servizio nelle scuole italiane, a pieno titolo e con responsabilità piena, di poter fare una scelta analoga, svelando politiche ottuse e irrazionali.

Insomma, l’unico dato certo, in questo delicato momento storico, è che, in Italia, “si danno i numeri”!

Valeria Bruccola

Ultima modifica il Lunedì, 13 Agosto 2012 09:02

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