A prima vista potrebbe sembrare un argomento filosofico di tipo utopistico, ma persino nel campo delle teorie economiche se ne discute ormai da tempo. Un Paese al mondo, il Buthan, ha scelto da tempo di abbandonare il familiare e abusato concetto di PIL (Prodotto Interno Lordo) a favore del FIL (Felicità Interna Lorda). Un insieme di indicatori che guardano alla qualità delle vita in tutti i suoi aspetti, piuttosto che alla quantità di beni e servizi prodotti.
Se il Fil, però, guarda ai valori perseguiti da una comunità, che restano almeno in parte soggettivi, altri indicatori hanno cercato di includere ciò che normalmente viene escluso dalle misurazioni del benessere più tradizionali. Ad esempio, il Genuin Progress Indicator (GPI), vuole misurare la crescita di un Paese distinguendo tra “spese positive” (ad es. servizi sociali) e “spese negative” (ad es. inquinamento industriale) e considerando anche l’apporto di fattori non direttamente economici, come il volontariato e il lavoro domestico . L’impronta ecologica, invece, misura la sostenibilità ambientale di un determinato Paese, mettendo in rapporto le risorse naturali consumate con la quantità di terra disponibile per rigenerarle. Un altro grande tema di dibattito, è quello associato al concetto di decrescita, abbondantemente sostenuto e divulgato da Serge Latouche. Più affermato, infine, è l’HPI- l’Indice di Progresso Umano- ormai utilizzato anche dall’Onu, che calcola la qualità della vita in ogni Paese affiancando alla grandezza del reddito nazionale, l’aspettativa di vita e il tasso di istruzione.
Queste teorie, sviluppate e ampliate nei primi anni Novanta, oggi interrogano direttamente numerosi Stati europei: la Francia ha incaricato nel 2008 una Commissione composta da Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean Paul Fitoussi di individuare metodi di rilevazione dello sviluppo che non si fermino agli aspetti strettamente economici. In Italia, l’Istat ha annunciato nel 2010 la creazione di un gruppo di ricerca per misurare lo sviluppo sostenibile. Ciò che fino agli anni ’90 sembrava una stravaganza da figli dei fiori, oggi viene discusso nelle più importanti assise internazionali.
Quindi, anche noi vogliamo occuparci della felicità, attivandoci con azioni giudiziali ed extragiudiziali non solo nel caso di lesione di diritti o interessi legittimi "basilari", ma anche per promuovere e favorire il riconoscimento di nuovi diritti, nella convinzione che il nostro ordinamento debba garantire il benessere più totale di tutti i cittadini.
Per approfondire:
La felicità è un diritto esigibile?
L’Università del Bene Comune
La fecondazione assistita: una legge da cambiare
Testamento biologico fermo al palo
Diritti dei migranti, diritti negati
La sicurezza sul lavoro dopo la sentenza Thyssen Krupp