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21 Set

Viaggio nel Pubblico Impiego/1

Non hanno orari, vanno sempre di corsa, rischiano la vita per salvarne altre. Ma convivono con precarietà, tagli e accuse di fannulloneria. Sono gli operatori del 118. Per comprendere meglio le problematiche aperte nel loro lavoro, abbiamo intervistato Massimo Maria Saccà, Componente delll’esecutivo della FP CGIL Ares 118 Roma e Lazio.

 I: Descrivi in poche battute il lavoro di un dipendente del 118: ore di servizio, turni, salario, soddisfazioni e problemi aperti.

M: Il 118 è uno di quei servizi che non chiude mai. Per chi ci lavora, quindi, niente domeniche, Natale  o Ferragosto. Ci sono solo volte che si è di turno e volte che si è di riposo.

Una vita sfasata che procede con ritmi suoi: la notte uguale al giorno, mai la certezza di poter passare una ricorrenza in famiglia.

A peggiorare le cose, orari di servizio che sanciscono l’ordinarietà dello straordinario, per coprire buchi di organico ogni anno più grandi (col blocco del turnover, chi va in pensione non può essere rimpiazzato).

Si finisce anche col credere d’averci fatto l’abitudine... per il resto, soddisfazioni poche, problemi a non finire.

Molti di noi, contro ogni evidenza, continuano a pensare che il nostro è un mestiere bellissimo e che esser pagati per aiutare gli altri sia un privilegio, ma, al di là di questi buoni sentimenti, le gratificazioni, nel nostro quotidiano, sono davvero rare.

I: Fannulloni, scansafatiche, privilegiati: sono alcuni degli stereotipi sui dipendenti pubblici che vanno molto di moda. Su di te che lavori nel 118, un servizio essenziale e insostituibile per tutta la cittadinanza, che agisce nell’ambito dell’emergenza, che impatto ha avuto questa campagna del Governo e del Ministro Brunetta in particolare? Pensi che nel 118 ci sia poca voglia di lavorare, che questo allarme sia almeno in parte giustificato? Pensi che queste politiche siano servite da stimolo a fare di più e meglio per qualità e quantità del servizio erogato?

M: Nella nostra Regione, la percezione che la gente ha della qualità dei servizi resi dalla sanità pubblica è, con ragione, ampiamente compromessa. Questo si riflette inevitabilmente sul giudizio per chi vi opera, un giudizio che talvolta assume i connotati del pregiudizio.

Brunetta con le sue intemerate è intervenuto su un terreno fertile, anche se la situazione, per il nostro comparto, non poteva peggiorare più di tanto: quando si è toccato il fondo, più in basso non si può andare.

E’ un lavoro, il nostro, che se sbagli sono guai, e che se fai bene hai fatto solo il tuo dovere. Sappiamo benissimo, quando siamo investiti dalla legittima esasperazione degli utenti per la disorganizzazione e il caos che regnano negli ospedali, che stiamo pagando colpe che non sono nostre, ma non possiamo farci nulla e nemmeno prendercela con chi abbiamo di fronte.

Da un pezzo è venuto meno quel riconoscimento sociale che per noi sarebbe un prezioso carburante per affrontare le difficoltà di un lavoro complesso di per sè, reso ancor più complicato dalla carenza di risorse con cui dobbiamo convivere.

E’ evidente come la retorica brunettiana sui pubblici dipendenti accidiosi e strafottenti non aiuta molto a far capire ai cittadini infuriati per il mezzo di soccorso che ci mette troppo ad arrivare che la cosa dipende magari dal numero insufficente di ambulanze in servizio e non dagli operatori che se la sono presa comoda.

Per non parlare dello stuolo di imboscati che secondo molti si farebbero piazzare negli uffici a girarsi i pollici. La verità è che noi del 118 abbiamo poche scelte: uscire dai turni per una mansione più “tranquilla” o starsene a casa con una malattia di comodo, falcidia una retribuzione che, senza indennità (di turno, notti e festivi) e senza straordinari, diventa come una cassa integrazione.

 I: Secondo te, per quale ragione una parte dell’opinione pubblica sembra avere accolto con favore la battaglia di Brunetta contro i fannulloni? E questa campagna che effetti ha prodotto, a cosa è servita?

M: Chi subisce quotidianamente le conseguenze del malfunzionamento della Pubblica Amministrazione, accetta di buon grado le spiegazioni semplicistiche proposte dal ministro.

Le sue argomentazioni hanno una buona accoglienza forse perchè rappresentano la proiezione di un qualunquismo sempre più diffuso nella società. Certe affermazioni piuttosto che combatterlo, lo compiacciono e lo sollecitano.

Brunetta il “castigamatti” si accredita così come fustigatore dei costumi corrotti di quei cialtroni impuniti che sarebbero i dipendenti pubblici e poco gli importa degli effetti nefasti di questa strategia comunicativa. Oltre a moltiplicare un’ostilità a priori - che si fa ideologia – nei confronti della cosa pubblica, suscita tutta l’amarezza e la frustrazione di quanti, corretti e laboriosi, si vedono messi nello stesso calderone coi reprobi.

Intanto, le cause vere dei problemi non vengono nè cercate nè affrontate e il cerchio si chiude su un Paese diviso tra pubblici dipendenti che rubano lo stipendio e lavoratori autonomi che rubano le tasse, cosa, quest’ultima, che per l’etica berlusconiana è ampiamente scusabile visto che si tratta di denaro destinato a foraggiare la macchina sciupona dello Stato.

I: Mentre si propagandava la guerra ai fannulloni, sono stati perpetrati pesanti tagli ai servizi pubblici. Che ricaduta ha avuto nel tuo settore questa scelta? Sono stati tagliati gli sprechi? Secondo te il 118 ha le risorse necessarie per svolgere al meglio il proprio lavoro?

M: I famigerati tagli orizzontali posti in essere negli ultimi tempi, hanno forse salvato la nostra regione dalla bancarotta, ma la loro natura di interventi indiscriminati li ha resi, da subito, incapaci di incidere sulle cause degli sprechi e delle inefficenze.

Si saranno forse aggiustati i conti, ma non ci si è voluti mettere nella condizione di spendere meglio. Il risultato netto è stato un peggioramento complessivo della qualità dei servizi, cioè ulteriori pesanti disagi per i cittadini.

Il 118 in questo contesto è partito svantaggiato: già alla sua nascita lamentava un bilancio sottostimato ed una Pianta Organica incompleta. La sua funzione particolare rende poi impossibile il finanziamento “a prestazione” (come avviene per gli ospedali) e l’unica modalità possibile, il “piè di lista”, consente valutazioni svincolate da parametri univoci di riferimento. Approfittando di questa ambiguità di fondo, l’Amministrazione Regionale ha operato scelte assolutamente penalizzanti. Abbiamo così subito ulteriori decurtazioni economiche, senza nemmeno poter porre rimedio alle carenze di organico sempre più gravi.

E non bisogna nemmeno dimenticare altri fattori che peggiorano la nostra situazione.

La chiusura, con criteri peraltro discutibili, di tanti piccoli ospedali, non poteva che aumentare il carico di lavoro per il nostro servizio. I tagli generalizzati ai posti letto, hanno incrementato anche i fenomeni di congestione delle accettazioni/pronto soccorso. Da settimane stiamo registrando infatti un aumento significativo dei blocchi dei nostri mezzi, per mancanza di barelle, negli ospedali romani. Le difficoltà sono sotto gli occhi di tutti, ma, fino ad oggi, si è andati avanti “con le pezze a colore”.

I: Nel vostro blog, http://fpcgilares118.it, sono riportati comunicati di numerose iniziative di protesta per problemi contrattuali e si parla anche del precariato nel 118. Cosa significa questo? Come incide sulla qualità del servizio che erogate?

M: Il quadro tratteggiato è davvero preoccupante, perchè fornisce la rappresentazione di un servizio sull’orlo del collasso. La Direzione Aziendale, come sta affrontando questa situazione?

La bozza del nuovo Piano Aziendale sottoposta alle parti sociali, non entra troppo nel merito di queste criticità, ma ci fa in qualche modo intuire come Regione ed ARES pensino di gestire il problema. Negli ultimi mesi la soluzione adottata era stata quella di sopperire ai vuoti gettando nella mischia soggetti esterni, come Associazioni di volontariato e Croci private. L’idea, ora, pare quella di sistematizzare questi interventi estemporanei.

Se non si cambia rotta, questo finirà col trasformare la natura stessa dell’ARES. Non più un servizio interamente pubblico, ma un’entità che esternalizza completamente le sue funzioni, contando in questo modo di abbattere le spese di gestione. Sarebbe un bel passo indietro. Torneremmo ad un modello in cui si privilegia il trasporto all’assistenza.

Ne farebbero le spese in primo luogo i cittadini, ma anche i lavoratori coinvolti, sottopagati ed obbligati ad una condizione di precarietà assoluta del loro rapporto di lavoro.

Già ci sarebbe molto da dire per gli aspetti strettamente sindacali: l’idea di poter realizzare delle economie di gestione penalizzando chi lavora è di per sè discutibile, ma le esternalizzazioni in corso nell’ARES avvengono con modalità che mettono pesantemente in discussione anche la qualità del servizio erogato.

I criteri di accreditamento, per quanto ne sappiamo, sono del tutto aleatori.

Basti pensare all’episodio riportato dalla stampa nei mesi scorsi: un mezzo di soccorso della San Ciro Ambulanze, croce partenopea convenzionata con l’ARES, inviata per un soccorso nel centro di Roma, si perde e gli allibiti vigili che lo fermano (dopo il terzo passaggio per lo stesso incrocio), scoprono che l’autista non ha nemmeno la patente.

Francamente mi sarei aspettato maggiore scandalo. In altri tempi, dirigenti aziendali dovettero rassegnare le dimissioni per molto meno.

L’indifferenza generale registrata in quell’occasione è stata davvero sconfortante e foriera di oscuri presagi per me, vecchio soccorritore che, dopo oltre trantacinque anni passati sulle ambulanze, ancora ama il suo lavoro.